Prime sentenze / n. 516/2020 Gdp Frosinone.
Con apposita deliberazione dello scorso 31 gennaio il CdM dichiarava lo stato di emergenza nazionale a seguito del rischio sanitario derivante da COVID-19, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. c) e dell’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 1/2018, dichiarando per 6 mesi dalla data del presente provvedimento lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Ma il menzionato art. 7 si riferisce a fattispecie (eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo) tra le quali però nulla è riconducibile al rischio sanitario. Non vi è, inoltre, nella nostra Costituzione alcun riferimento ad ipotesi di dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario. Da ciò deriva che la deliberazione adottata dal CdM è illegittima, emanata in assenza di presupposti legislativi ed emessa in violazione degli artt. 78 e 95 Cost. che non prevedono il potere del CdM di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria. Conseguentemente, si ha l’illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti, come il DPCM invocato dal verbale opposto in tal sede, con dovere del GdP di disapplicare la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria.
Deve dichiararsi, poi, l’illegittimità per violazione dell’art. 13 Cost. del DPCM del 9 marzo 2020 invocato dal verbale opposto e del rinviato DPCM dell’8 marzo 2020, che, allo scopo di contrastare e contenere il COVID-19, vietava ogni spostamento delle persone fisiche al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, dettando un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento, tale obbligo consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene disposta dal GdP per alcuni reati.Ma l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Dunque, neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo di permanenza domiciliare, irrogato direttamente a tutti i cittadini dal legislatore anziché dall’autorità giudiziaria con atto motivato, senza violare l’art. 13 suddetto. E nella fattispecie, trattandosi di un DPCM, ossia di un atto amministrativo, il giudice non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale, ma deve procedere alla disapplicazione dell’atto stesso illegittimo per violazione di legge.In conclusione, deve affermarsi l’illegittimità del DPCM invocato dal verbale opposto per violazione dell’art. 13 Cost, con conseguente dovere del GdP di disapplicare il medesimo atto.