Acquisti con Indebitamento

L’OPA ostile di Olivetti su Telecom Italia rappresenta la più grande operazione LBO mai condotta in Europa[2][3] e una delle […]

L’OPA ostile di Olivetti su Telecom Italia rappresenta la più grande operazione LBO mai condotta in Europa[2][3] e una delle più grandi al mondo[4] per valore. Le premesse per l’esecuzione di questa operazione di leveraged buyout furono poste nel 1997, quando si procedette alla privatizzazione del colosso statale Telecom avente un fatturato di 43.100 miliardi di lire e 124.000 dipendenti. A fine novembre 1998 Roberto Colaninno, amministratore delegato di Olivetti, dopo un incontro con alcuni importanti finanziatori (Chase Manhattan ed Emilio Gnutti) si convinse della possibilità di scalare Telecom attraverso un’operazione di leveraged buyout. Dal 1 gennaio 1999 alla guida di Telecom si era insediato Franco Bernabè, reduce da un grande successo come guida della privatizzazione dell’Eni. Il 13 gennaio 1999 il Financial Times pubblicò notizie circa una scalata ostile organizzata ai danni di Telecom da parte di un gruppo di investitori, scatenando il raddoppio del volume degli scambi sul titolo in borsa. Colaninno convocò il CdA di Olivetti per domenica 21 febbraio 1999 per deliberare l’OPA ostile su Telecom, ma si riunì un giorno prima del previsto, sabato 20 febbraio 1999. I termini dell’operazione furono comunicati contemporaneamente a Borsa Italiana e Consob. Si trattava di un LBO avente come newco la Olivetti Tecnost, che avrebbe dovuto caricarsi del debito per poi fondersi con Telecom. I termini dell’offerta erano di €10 per azione, con un premio del 26% rispetto alla chiusura del venerdì 19 febbraio:

€ 6 in contanti; € 2,6 in obbligazioni Tecnost a 5 anni, emesse e rimborsate alla pari, con godimento annuale e spread sull’Euribor pari a 200-225 basis point (considerato un segnale di rischiosità dell’operazione, dato che un rating BBB di S&P prevedeva uno spread tra 75 e 100 basis points); € 1,4 in azioni Tecnost ordinarie, provenienti da un apposito aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione. L’ammontare complessivo fu di circa €50 miliardi di cui il 60% in contanti finanziati così:

€ 7 miliardi dalla vendita di Oliman e Infostrada a Mannesmann; € 1 miliardi di liquidità di Olivetti; € 2,5 miliardi da un aumento di capitale sociale di Olivetti; € 20 miliardi circa di finanziamenti ottenuti dalle banche. Totale cash: € 30 miliardi, ovvero la cifra più alta mai pagata in contanti. L’offerta era condizionata al successo della vendita di Oliman e all’insuccesso dell’OPA Telecom su TIM (condizioni in seguito entrambe soddisfatte). Il CdA Telecom approvò in data 10 marzo 1998 tre poison pill ed un piano industriale triennale:

OPS tra azioni ordinarie Telecom e azioni ordinarie e di risparmio Tim; Conversione delle azioni risparmio Telecom in ordinarie; Riacquisto di azioni proprie fino al massimo consentito dalla legge (10%); Piano 1999 – 2002, imperniato sulla convergenza fisso/mobile (ristrutturazione dell’attivo). La passivity rule innescata dall’OPA imponeva, che, per essere attuata, questa strategia necessitava dell’approvazione di almeno il 30% degli azionisti ordinari, che furono convocati il 10 aprile 1999. Non era facile coalizzare questa maggioranza: oltre agli investitori italiani, bisognava convincere gli investitori istituzionali internazionali, che possedevano oltre il 50% di Telecom. Nel frattempo si scatenò l’asta relativa all’OPA ostile:

1° rilancio – di Olivetti, 17 marzo 1999: nuovo piano industriale, nessuna fusione Telecom–Tim, payout al 90% per gli azionisti Tim e buyback per Telecom risparmio; 2° rilancio – di Telecom, 27 marzo 1999: non più OPS ma OPA sull’intero flottante Tim (40%), con un esborso di €6,84 per le ordinarie (+17,4% rispetto all’ultima quotazione) e €3,85 per le risparmio (+8,6%), con l’effetto collaterale dell’aumento dell’indebitamento; 3° rilancio – di Olivetti, 29 marzo 1999: rialzo del prezzo offerto per le azioni Telecom da €10 a €11,5 (complessivi €60,4 miliardi) di cui €6,92 cash, €2,9 in obbligazioni Tecnost ed € 1,68 in azioni Tecnost, con clausola di offerta subordinata alla mancata acquisizione di Tim da parte di Telecom. Nei giorni precedenti l’assemblea del 10 aprile ci fu una grande campagna pubblicitaria per convincere gli azionisti Telecom a partecipare in assemblea. Tuttavia il Tesoro e la Banca d’Italia decisero di non partecipare per mantenere un profilo neutrale[5]. Molti hanno in seguito valutato questo comportamento come precisa volontà di ostacolare il piano difensivo di Bernabè e favorire la scalata di Colaninno[6]. Anche gli investitori istituzionali stranieri erano allettati dall’offerta Olivetti in quanto permetteva loro di realizzare forti plusvalenze. Il 10 aprile 1999, dopo 40 minuti dall’apertura dei lavori risultava iscritto il 33,5% dei soci ma presente solo il 22,3%. In assenza del quorum del 30% (ex art. 104 TUF, Passivity Rule) l’assemblea fu sciolta e nessun provvedimento difensivo poté essere approvato.

Bernabè non si arrese e ottenne dal CdA il mandato per cercare un acquirente gradito al management, detto in gergo White Knight. Questa operazione era resa difficile dal fatto che il tessuto imprenditoriale italiano non disponeva di capitali sufficienti da investire in questa acquisizione così onerosa. Al contempo, per uno straniero, risultava difficile superare la condizione dell’approvazione politica. Tuttavia il 16 aprile 1999 Bernabè raggiunse un accordo con Deutsche Telekom che prevedeva una fusione in una Newco[7]. Tale operazione avrebbe creato un colosso della telefonia, con grandi sinergie e poche sovrapposizioni di mercato poiché Telecom Italia operava in Sud America mentre Deutsche Telekom in Asia e nell’est europeo. Si sarebbero raggiunti €70 miliardi di fatturato e €200 miliardi di capitalizzazione. La newco, di diritto tedesco, sarebbe stata quotata a Francoforte, Milano e New York.

Ma il 22 aprile 1999 la Consob diede il via libera all’OPA proposta da Olivetti. Il giorno della chiusura si arrivò al 51,02% di partecipazione, così Olivetti assunse il controllo di Telecom Italia. Per ripagare i debiti contratti con l’operazione di leveraged buyout il management di Telecom Italia fu costretto negli anni a seguire a cedere asset di valenza strategica e a dimezzare i propri dipendenti.

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