Diritto del Lavoro

LE ALTRE IPOTESI DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO. Il legislatore ha differenziato il regime di tutela nell’ipotesi di giustificato […]

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LE ALTRE IPOTESI DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO.

Il legislatore ha differenziato il regime di tutela nell’ipotesi di giustificato motivo oggettivo, a seconda che il licenziamento sia determinato da motivi prettamente economici, in quanto riferito alle scelte organizzative e produttive dell’imprenditore (per le quali si applica la tutela risarcitoria menzionata nel paragrafo che precede), dalle ipotesi in cui il licenziamento riguardi motivi prettamente riferibili alla persona del lavoratore licenziato.

Da quest’ultimo punto di vista, infatti, il nuovo art. 18 della L. 300/70, nell’attuale formulazione, individua il caso specifico del lavoratore licenziato in relazione (o in conseguenza) del suo stato di inidoneità psichica o fisica all’espletamento delle mansioni ed il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto.

In queste ipotesi tipizzate dal legislatore della riforma e limitatamente alle imprese di maggiori dimensioni, continua ad applicarsi la tutela reale (reintegra e risarcimento) ma l’ammontare del risarcimento non potrà superare le dodici mensilità.

Analogo discorso e medesima sanzione per le ipotesi di licenziamento nullo (tra i quali figura anche il licenziamento orale) o discriminatorio (e quelle ad esso parificate, esempio licenziamento intimato in concomitanza del matrimonio). Solo in questo caso non rileva il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro.

LICENZIAMENTI COLLETTIVI

L’art. 1, commi 44, 45 e 46, della legge n. 92 del 2012 apporta alcune modifiche alla disciplina dei licenziamenti collettivi dettata dalla legge n. 223 del 1991.

ART. 1, COMMA 44

Nella disciplina previgente, l’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, prevedeva che, collocati in mobilità i lavoratori eccedenti e comunicato loro il recesso nel rispetto dei termini di preavviso, il datore di lavoro doveva, contestualmente, comunicare agli uffici pubblici competenti e alle associazioni sindacali l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con la puntuale indicazione delle modalità con le quali erano stati applicati i criteri di scelta.

La nuova disposizione introdotta dalla riforma prevede che quest’ultima comunicazione debba avvenire non più contestualmente, ma entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi.

ART. 1, COMMA 45

Nel regime precedente alla riforma, come affermato anche dalla giurisprudenza più recente, i vizi della comunicazione di apertura della procedura di mobilità non potevano essere sanati da successivi accordi sindacali, determinando l’inefficacia dei licenziamenti per riduzione di personale intimati a conclusione della suddetta procedura (cfr., in questo senso, Cass. Civ. sez. lav., 6 aprile 2012, n. 5582).

La nuova disposizione prevede che eventuali vizi della comunicazione di avvio della procedura di mobilità possano essere sanati, ad ogni effetto di legge (e, quindi, anche ai fini della dichiarazione di inefficacia del licenziamento),nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della stessa procedura.

ART. 1, COMMA 46

Questa disposizione modifica il regime sanzionatorio del licenziamento collettivo, distinguendo tre diverse ipotesi:

1) licenziamento intimato senza forma scritta. Come in precedenza, è prevista la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro, più il risarcimento del danno, commisurato a tutte le retribuzione non percepite dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali;

2) licenziamento intimato in violazione delle procedure previste dalla legge. Non è più prevista la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro (come in precedenza), ma soltanto una indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un minino di 12 e un massimo 24 mensilità (determinata, con obbligo di specifica motivazione da parte del giudice, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore, del numero di dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti);

3) licenziamento per violazione dei criteri di scelta. Come in precedenza, è prevista la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro, più il risarcimento del danno e il versamento dei contributi previdenziali. Il risarcimento del danno, però, non può superare, in ogni caso, 12 mensilità di retribuzione.

Infine, la nuova disposizione dispone espressamente l’applicabilità anche ai licenziamenti collettivi del nuovo regime di impugnazione giudiziale del licenziamento dettato dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010. Pertanto, anche nell’ipotesi di licenziamento collettivo, il lavoratore deve depositare il ricorso giudiziale entro il termine di decadenza di 180 giorni (non più 270, come in precedenza)dall’impugnazione stragiudiziale (che deve sempre avvenire, anch’essa a pena di decadenza, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento).

IL NUOVO RITO IN MATERIA DI LICENZIAMENTO.

Come anticipato, il legislatore della riforma ha introdotto un rito speciale, disciplinato all’art. 1, commi 48 e sgg. della legge in esame, sotto la rubrica “Tutela urgente” che trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 300/70, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

Il lavoratore che ritiene di essere stato illegittimamente licenziato può proporre ricorso al Tribunale del lavoro. Il ricorso deve avere ad oggetto solo il licenziamento, quindi non potrà contenere domande diverse ed ulteriori (ad es. una domanda di risarcimento danni da demansionamento, anche se collegata con il licenziamento).

Il Giudice fissa l’udienza entro 30 giorni dal deposito del ricorso che deve essere notificato alla controparte (datore di lavoro).

Il Giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno all’istruzione della causa e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda.

L’efficacia esecutiva del provvedimento assunto dal Giudice al termine di tale fase non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il Giudice definisce il giudizio instaurato ai sensi del successivo articolo.

Comunque, entro 30 giorni dall’emissione dell’ordinanza di accoglimento o di rigetto, la parte soccombente può proporre opposizione.

Il Giudice dell’opposizione fissa l’udienza di discussione entro 60 giorni, dando termine alla parte opposta di costituire in giudizio 10 giorni prima dell’udienza.

Se l’opposto intende chiamare un terzo in causa, a pena di decadenza, deve farne dichiarazione nella memoria difensiva. In tal caso il giudice fissa una nuova udienza entro i successivi sessanta giorni, e dispone che siano notificati al terzo, ad opera delle parti, il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione dell’opposto.

All’udienza, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e provvede,con sentenza, all’accoglimento o al rigetto della domanda.

La sentenza, completa di motivazione, deve esseredepositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione. La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Contro tale sentenza è ammesso reclamo davanti alla Corte d’appello entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore.

In tale fase non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile.

La Corte d’appello fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni e, se ricorrono gravi motivi, alla prima udienza può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata.

Lasentenza della Corte d’appello, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione.

Ilricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza,entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore. La Corte di Cassazione deve fissare l’udienza di discussione non oltre sei mesi dalla proposizione del ricorso.

E’ ancora controverso se tale nuovo rito sia l’unico applicabile alle controversie in materia d’impugnazione del licenziamento, al momento dell’entrata in vigore della legge, ovvero se sia in facoltà della parte optare per tale rito o per quello disciplinato dagli artt. 414 e sgg. c.p.c..

A parere di chi scrive imporre al lavoratore (o al datore di lavoro) un rito sommario, precludendo la scelta per la trattazione ordinaria, con il ricorso ex art. 414 c.p.c. e le regole dell’istruzione probatoria piena, appare in contrasto con i principi generali del processo civile che consentono l’alternativa tra la trattazione con il rito speciale e con quello ordinario ed imporrebbe a chi intende proporre più domande, oltre al licenziamento, nella stessa causa e contro la stessa parte, di separarle in diversi giudizi, trattate con riti diversi.

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