Oggi con Grande soddisfazione è stato pubblicato un mio nuovo commento in materia di Penale Tributario… ringrazio il Sole24Ore per la Fiducia… Prof. Avv. Thomas Coppola
La norma penale, contenuta nell’art. 2 del decreto, sanziona la condotta di colui che utilizza fatture o altri documenti probatori per dichiarare passività inesistenti all’interno della dichiarazione IVA o nella dichiarazione dei redditi al fine di ridurre fraudolentemente l’imponibile oggetto del prelievo fiscale.
Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è una delle fattispecie più gravi tra i reati tributari, la cui disciplina è fissata dal d.lgs. n. 74/2000. La norma penale, contenuta nell’art. 2 del decreto, sanziona la condotta di colui che utilizza fatture o altri documenti probatori per dichiarare passività inesistenti all’interno della dichiarazione IVA o nella dichiarazione dei redditi al fine di ridurre fraudolentemente l’imponibile oggetto del prelievo fiscale.
La norma dell’art. 2 d.lgs. n. 74/2000: E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
La circostanza fattuale consiste nell’essersi avvalso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Il reato si costituisce di un elemento oggetto e di un elemento soggettivo.
Sotto il profilo dell’Elemento oggettivo si evidenzia che il Soggetto attivo del reato può essere unicamente il contribuente, cioè il soggetto obbligato alla tenuta di scritture contabili ai fini del pagamento dell’IVA (oppure amministratore, liquidatore o rappresentante del contribuente soggetto ad imposizione, art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 74/2000), ma anche il soggetto tenuto soltanto all’obbligatoria presentazione della dichiarazione annuale dei redditi.
In base all’art. 1, lett a), per “fatture e i documenti per operazioni inesistenti” rilevano tutti quei documenti aventi valore probatorio per l’Amministrazione tributaria emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.
La consumazione del reato è un altro elemento essenziale di valutazione, in quanto da tale momento decorrono i termini di prescrizione;
la consumazione del reato si realizza al momento della presentazione della dichiarazione fraudolenta.
Sotto il profilo invece dell’Elemento soggettivo: Il delitto è punito a titolo di dolo specifico. È necessario che in capo all’agente risieda la consapevolezza e volontà di porre in essere la specifica condotta sanzionata, cioè di utilizzare le fatture per operazioni inesistenti per dichiarare il falso al fisco, quindi il fine specifico di evadere le imposte.
In base all’art. 1, lett. d) del decreto, nel fine di evadere le imposte si ricomprende anche quello di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, e il fine di consentirli a terzi.
È doveroso chiarire il concetto di operazioni inesistenti secondo la più recente giurisprudenza che ha provveduto a precisare che relativamente al soggetto che emette la fattura/documento per l’operazione inesistente, la Cassazione ha superato l’orientamento che limitava l’operatività della fattispecie de qua ai casi in cui le fatture siano state emesse da terzi, in tal modo evidenziando la differenza con i delitti puniti agli artt. 3 e 8 del medesimo decreto. Nel ragionamento della Corte, la condotta sanzionata dall’art. 2 è “la falsificazione della dichiarazione dei redditi che si consuma attraverso la rappresentazione di operazioni inesistenti, essendo indifferente che la documentazione falsa provenga dallo stesso autore della dichiarazione piuttosto che da terzi. (…)Si ritiene, in conclusione che la fattispecie prevista dal D.lgs. n. 74 del 2000, art. 2 sanzioni i comportamenti che si risolvono nella presentazione di una dichiarazione dei redditi che rappresenti operazioni inesistenti, nulla rilevando che le fatture o i documenti che attestano tali operazioni siano creati dalla stessa persona che presenta la dichiarazione o da terzi” (Cass., Sez. fer., n. 47603/2017).
L’inesistenza è oggettiva nel caso in cui sia stata documentata in fattura un’operazione mai avvenuta o avvenuta solo in parte.
L’inesistenza è soggettiva, invece, nel caso in cui l’operazione sia avvenuta tra soggetti differenti da quelli indicati in fattura.
I “soggetti diversi da quelli effettivi”, ai sensi del citato d.lgs., art. 1, lett. a), sono coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale” (Cass., Sez. III, n. 47823/2017).
Ai fini dell’accertamento del reato si prende in esame non solo la situazione contabile-patrimoniale degli enti, ma altresì la concreta organizzazione aziendale e l’idoneità della stessa alla realizzazione delle operazioni indicate nei documenti fiscali, in modo da verificare che l’impresa/società non sia un mero schermo fittizio per il compimento dell’operazione illecita.
L’ulteriore analisi sara’ sui traffici di contante tra i soggetti coinvolti nelle operazioni contabili fraudolente, al fine di verificare il ritorno di danaro, detratto del profitto pattuito, per l’emittente della falsa fattura (cfr. Cass., Sez. III, n. 1968/2018).
Ai fini del calcolo della prescrizione si rammenta che inizia a decorrere dalla consumazione dello stesso, dunque dal momento della presentazione della dichiarazione. Il d.lgs. n. 74/2000 originariamente non ha previsto nessuna prescrizione particolare per i reati tributari, pertanto ha trovato applicazione per gli stessi la disciplina ordinaria dettata dal codice penale dall’art. 157 (sei anni, che diventano sette e mezzo in caso di interruzione).
A seguito della riforma realizzata dalla l. n. 148/2011 è stato introdotto l’art. 17-bis, che ha allungato di un terzo i termini prescrizionali per i reati sanzionati dagli artt. 2 a 10 del decreto. A ciò si aggiunga la recente riforma della materia della prescrizione realizzata con la l. n. 103/2017 (c.d. riforma Orlando) che ha introdotto nuovi termini sospensivi.
Attualmente, pertanto, la prescrizione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture ha subito un notevole allungamento dei termini, se tenuto conto dei fenomeni sospensivi ed interruttivi.
Dunque ricapitolando, per fare chiarezza:
•per le condotte consumatesi prima del 17 settembre 2011 (entrata in vigore della prima riforma), varranno ancora le norme originarie del codice, con la prescrizione a 6 anni, aumentato a anni 7 e mesi 6 in caso di interruzione;
•le condotte consumate tra l’entrata in vigore della riforma del 2011 e l’entrata in vigore della riforma Orlando, il 3 agosto 2017, il termine di prescrizione è di 8 anni che diventano 10 in caso di interruzione;
•per i reati consumati successivamente all’entrata in vigore della legge Orlando (3 agosto 2017), varranno i medesimi termini post 2011, ma altresì verranno applicate le nuove norme previste dal modificato art. 159 c.p. sulla sospensione della prescrizione introdotte nel 2017.In relazione alle cause di interruzione della prescrizione, occorre tenere presente, poi, che l’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 prevede due ulteriori e specifiche cause interruttive per i reati tributari. Il corso della prescrizione viene interrotto, infatti, oltre che dalle ipotesi previste all’art. 160 c.p., anche dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni.
La giurisprudenza comunitaria in materia di frode IVA, successivi alla nota sentenza Taricco della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’8 settembre 2015 (causa C-105/14), ha sanzionato il conflitto tra le norme penali italiane relative alla prescrizione nei reati di gravi frodi relative al pagamento dell’IVA con quelle dei trattati europei poste a tutela degli interessi finanziari dell’Unione (art. 325, par. 1 e 2, TFUE), stabilendo l’obbligo del giudice italiano di disapplicare all’occorrenza le disposizioni nazionali nei casi di frode grave.
Con Sentenza n. 42606 del 10 novembre 2022, la Cassazione Penale si è espressa in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.
In particolare, evidenzia la Cassazione, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato il dolo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, può consistere anche nel dolo eventuale.
In particolare, si è puntualizzato che il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, la quale deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.
Anzi, proprio sul presupposto della configurabilità della responsabilità per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 anche a titolo di dolo eventuale, si è precisato che il liquidatore di una società di capitali può rispondere, in relazione alle dichiarazioni annuali presentate dopo il suo insediamento, dei reati di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. n. 74 del 2000, purché emergano elementi dai quali poter desumere la conoscenza o conoscibilità, attraverso una diligente verifica della contabilità e dei bilanci, della fittizietà delle poste e della falsità delle fatture inserite nella dichiarazione (Sez. 3, n. 30492 del 23/06/2015).
E, del resto, si è più volte affermato che il dolo specifico del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti deve sussistere al momento della consumazione del reato, coincidente con la presentazione o la trasmissione in via telematica della dichiarazione nella quale sono indicati gli elementi passivi fittizi, e non, invece, in quello, antecedente, dell’annotazione in contabilità della fattura falsa.
* a cura del Prof. Avv. Thomas Coppola