Diritto Societario

Il diritto societario (in inglese: corporate law) è una branca del diritto commerciale che studia le questioni attinenti alla vita societaria e al rapporto tra questa e i […]

Il diritto societario (in inglesecorporate law) è una branca del diritto commerciale che studia le questioni attinenti alla vita societaria e al rapporto tra questa e i propri soci.

In particolar modo regolamenta la formazione, gestione e scioglimento di strutture societarie, formate dall’unione di una pluralitá di persone fisiche o persone giuridiche quali enti pubblici o societari, allo scopo di raggiungere un fine comune con la collaborazione di tutti i soci e con la messa in comune di un patrimonio.

Tipico esempio ne sono le società commerciali, così chiamate perché il fine perseguito dai soci è lo svolgimento di un’attività commerciale.

Un topic fondamentale della materia è il trattamento dei problemi di negligenza o opportunismo tra i portatori d’interessi (stakeholder) verso la società, tale per cui si innescano i problemi di agency.

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ItaliaModifica

Nell’ordinamento italiano, le leggi che regolano il diritto italiano sono contenute nel codice civile, libro V. Tutti gli ordinamenti, incluso quello italiano, prevedono più forme giuridiche, ovvero più modelli in cui la società può organizzarsi, in primis tarando la responsabilità limitata dei partecipanti (e.g. società per azioni VS società in accomandita per azioni: nella prima, in generale tutti i membri hanno responsabilità limitata, mentre nella seconda tutti i soci tranne il gestore hanno responsabilità limitata).

Il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ha profondamente innovato la disciplina del diritto societario italiano, in esercizio di una delega conferita dal Parlamento[1] che ha introdotto anche figure societarie nuove o semplificate[2].

Benché il decreto legislativo n. 6/2003 sia noto soprattutto per la modifica della disciplina del falso in bilancio, successivamente in parte rientrata nel 2015, la questione dei riflessi sanzionatori della disciplina societaria è più ampia ed ha dato luogo ad una vasta ricaduta. Nell ottica della armonizzazione internazionale delle norme di diritto societario a livello sopranazionale va rammentata la normativa europea del 2017 (UE) 2017/1132 diretta ad uniformare gli aspetti disciplinari sotto il profilo della responsabilitá societaria a livello comunitario. [3].

Una società, nel diritto e nella ragioneria, è un soggetto esercente attività di impresa: essa può essere costituita da un unico soggetto (società unipersonale) o da più soggetti detti soci (persone fisiche e/o giuridiche) riunite in un’impresa collettiva. È soggetta al diritto societario (una branca del diritto commerciale) dei vari paesi e, in base alla forma giuridica, può essere di vari tipi (e.g. società per azioni/corporation).

Con tale termine si possono indicare fenomeni ben distinti:

  1. il contratto di cui all’art 2247 c.c. (contratto di società o contratto sociale);
  2. il soggetto giuridico, costituito dai soci e da questi distinto;
  3. il rapporto societario che lega i soci tra loro (art 2269 c.c.).

La definizione più compiuta e citata del fenomeno societario si trova comunque nel codice civile, all’art. 2247, secondo cui con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili.

Tale articolo non comprende però tutti i tipi di enti sociali conosciuti dal nostro ordinamento: se da un canto, come si vedrà tra poco, esistono società non a scopo di lucro, dall’altro, con l’introduzione delle società unipersonali, anche un soggetto singolo può costituire una nuova società, mediante un atto unilaterale. L’ordinamento italiano distingue poi tra società, consorzi ed associazioni.

Oggetto socialeModifica

L’oggetto sociale descrive le attività che possono essere esercitate dalla società. Va incluso nell’atto costitutivo (come disposto dall’art. 2463 cc sulla Costituzione della Società a Responsabilità Limitata) e dev’essere sufficientemente determinato, lecito e possibile. Ad esempio, può essere produzione e vendita di auto, vendita di alimentari, costruzioni edili… Se non viene conseguito (in via definitiva) o sopraggiunga l’impossibilità di conseguirlo, ciò può essere causa dello scioglimento della società (art 2272 cc).

Partizioni a seconda dello scopo socialeModifica

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Scopo sociale.

Lo scopo di lucro è quello tipico della società che si propone di destinare ai soci i proventi dell’attività economica esercitata.

Lo scopo mutualistico (presente nelle cooperative e nelle mutue assicuratrici) è, in assenza di una formulazione legislativa, comunemente definito (anche sulla base di quanto riportato dalla relazione al codice civile) come quello di fornire ai soci beni, servizi o occasioni di lavoro a condizioni di lavoro più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato.

Si considera anche esistente uno scopo consortile, tipico dei consorzi istituiti in forma di società ex art. 2615 ter c.c., che consiste nel supportare le imprese consorziate nella disciplina o nello svolgimento in comune di parte delle rispettive attività economiche (ad esempio il consorzio per l’acquisto in comune di merci o la realizzazione di servizi in comune tra le diverse imprese).

Caratteristiche specificheModifica

L’ordinamento giuridico italiano propone un numero chiuso di tipi sociali, all’interno del quale i privati possono scegliere quello più vicino alle loro esigenze. Unica preclusione di ordine generale è quella data dal particolare statuto della società semplice, che può essere utilizzata unicamente per società che abbiano ad oggetto l’esercizio di un’attività diversa da quella commerciale (art. 2249 c.c.). Leggi speciali stabiliscono poi ulteriori limitazioni, prescrivendo per alcune attività il ricorso a determinati tipi sociali.

In realtà, per la valida costituzione di una società non è necessario scegliere in maniera esplicita uno dei tipi previsti dalla legge. Due tipi di società sono, infatti, residuali e ad essi si farà riferimento nel caso una società sia stata costituita senza determinarne il tipo. Occorre aver riguardo all’oggetto: ove esso sia lo svolgimento di un’attività non commerciale, soccorrerà il disposto dell’articolo 2249 c.c., secondo comma, per cui una società con tale caratteristica è regolata secondo le disposizioni della società semplice, a meno che i soci non abbiano voluto costituire una società secondo uno degli altri tipi. Esplicite disposizioni legislative non si rinvengono per le società che hanno ad oggetto un’attività commerciale. In questo caso, poiché la scelta degli altri tipi sociali compatibili con la commercialità dell’oggetto richiede ulteriori ed esplicite statuizioni da parte dei soci, si ricava che la società debba essere regolata dalle norme sulla società in nome collettivo.

La formulazione dell’articolo 2249 c.c. deroga, al principio generale ex 1322 c.c., 2° comma, secondo cui i privati possono concludere contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Non sarebbe quindi possibile costituire società atipiche in senso proprio, ossia non appartenenti ad alcun tipo legale. Il significato del divieto, per queste posizioni dottrinarie, si ritrova nella necessità di tutelare i terzi e la certezza dei traffici, data la rilevanza esterna del contratto di società.

Altra parte della dottrina sostiene invece l’atipicità delle società, argomentando a partire dalla considerazione della disciplina della società semplicee della s.n.c. non come sub-fattispecie negoziali (cioè “tipi”), ma come mere discipline residuali. Vi sarebbe quindi la possibilità per i soci di regolare in modo autonomo la propria società che verrebbe integrata a livello normativo dalla disciplina della società semplice in caso di attività non commerciali e da quella della s.n.c. in caso di attività commerciali, con eventuale sostituzione di diritto delle clausole contrarie a norme inderogabili (ad esempio in punto di responsabilità patrimoniale).

Se l’autonomia privata dei soci è limitata dalla necessità di scegliere uno dei tipi proposti dalla legge, nondimeno essi hanno la possibilità di modificare in parte i modelli legali, mediante l’adozione di clausole atipiche. La disciplina dettata dal legislatore consente, infatti, ampi adattamenti, che permettono di modellare nel concreto la società, in modo da soddisfare le particolari esigenze dei soci. I limiti delle clausole atipiche sono diversi a seconda del tipo sociale.
In genere, nelle società di persone si riscontra una flessibilità maggiore rispetto a quelle di capitali. Altra considerazione generale è quella secondo cui una minore derogabilità si riscontra nel regime delle obbligazioni sociali (che incidono sulla posizione dei terzi). Nel caso in cui la clausola atipica violi i limiti dell’autonomia negoziale, essa sarà illecita, per contrarietà a norme imperative e, ai sensi dell’art. 1419 c.c., secondo comma, verrà sostituita dalla disciplina legale.

I tipi societari disciplinati dal legislatore rappresentano ad ogni modo, un modello e una convenienza per i soci e per i terzi in quanto, avendo una disciplina standard, riducono i costi di transazione e danno una sicurezza agli investitori e ai creditori.

Il requisito della “commercialità”Modifica

L’ordinamento giuridico italiano (art. 2249 c.c.) non consente alle società semplici l’esercizio di attività commerciali (attività indicate dall’art. 2195 c.c.): pertanto la società semplice può avere ad oggetto soltanto l’attività agricola (art. 2135 c.c.) e lo svolgimento in forma associata di un’attività professionale (e, perciò, non imprenditoriale). Di conseguenza, invece, gli altri tipi societari sono riconducibili sotto la qualificazione di “società commerciali”: tali società, qualora svolgano un’attività non commerciale , peraltro, non avranno lo statuto dell’imprenditore commerciale, e pertanto, fra l’altro, non saranno soggette al fallimento e alle altre procedure concorsuali (norma non pacifica).

La qualifica di “commerciale”[1] rileva anche ai fini dei redditi soggetti ad IRES, che, in caso di commercialità, saranno interamente imputati a reddito di impresa.

Tipi di societàModifica

Due sono i grandi sottoinsiemi in cui si raggruppano le società lucrative: le società di persone e le società di capitali. A distinguere le prime dalle seconde sono due elementi: il grado di autonomia patrimoniale ed il riconoscimento o meno della personalità giuridica da parte del legislatore (contratto di società è il conferimento, da parte di due o più soggetti, di beni e servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica organizzata, al fine di dividerne gli utili). Più in particolare, riguardo all’autonomia patrimoniale:

  • Le società di capitali sono caratterizzate da un’autonomia patrimoniale perfetta e così:
    • I soci rispondono delle obbligazioni sociali nei limiti della quota conferita, salvo che:
    • I creditori particolari dei soci non possono pretendere che la quota sociale del rispettivo debitore sia liquidata dalla società (ma possono pignorare la quota ovvero gli utili da essa derivante).
  • Le società di persone, al contrario, vedono un’autonomia patrimoniale imperfetta. Ne consegue che:
    • I soci sono, in via sussidiaria (il beneficio d’escussione opera diversamente, a seconda del tipo sociale), illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni della società, salvo alcune eccezioni stabilite
    • I creditori particolari dei soci di società semplici possono ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio debitore. Questa possibilità è riconosciuta pure ai creditori dei soci di società in nome collettivo, ove la durata di questa sia stata prorogata, con diverse modalità nel caso la proroga sia stata espressa o tacita.

Inoltre, l’ordinamento riconosce la personalità giuridicaalle sole società di capitali (art 2331 c.c.). Le società di persone sono comunque caratterizzate da soggettività giuridica, ossia costituiscono un soggetto distinto dai soci, titolare di propri rapporti giuridici e di un proprio patrimonio.

Sono società di persone:

Sono società di capitali:

Sono società cooperative: le società caratterizzate da scopo mutualistico. Tutte le società cooperative hanno personalità giuridica e devono seguire le norme contabili e di bilancio delle persone giuridiche, con l’aggiunta della sorveglianza del Ministero del Lavoro.

È definita invece società consortile l’organizzazione costituita tra imprenditori dello stesso ramo o di attività connesse per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.

Tipi particolariModifica

Oltre ai tipi societari classici, recentemente si sono affacciate nuove varianti.

  • Con il decreto legislativo n. 88 del 3 marzo 1993, si è creata, ad esempio, la figura della S.r.l. unipersonale: per la prima volta si è consentito ad un unico soggetto di costituire una società, mediante atto unilaterale. La riforma del diritto societario, adottata con il decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003, ha esteso questa possibilità pure alle S.p.A. In entrambi i casi sono previsti determinati obblighi, relativi al versamento dei conferimenti in denaro e alla pubblicità. Nel caso di mancata ottemperanza a detti obblighi, il socio perde il privilegio della responsabilità limitata, nel senso che, in caso d’insolvenza della società, risponde illimitatamente per tutte le obbligazioni sorte nel periodo in cui era azionista o quotista unico.
  • Società tra professionisti: sono società, che possono costituirsi sullo schema delle società di persone, di capitali o cooperative, i cui soci sono iscritti ad uno degli albi previsti dall’ordinamento italiano (che prevede sia ordini e collegi professionali per le professioni regolamentate, sia associazioni tra professionisti notificate al Ministero della Giustizia per le professioni non regolamentate, come ad esempio traduttori, interpreti, amministratori di condominio, ecc.). L’oggetto dell’attività è di tipo tecnico specialistico: fornitura di pareri, giudizio di fattibilità, progettazione di opere, gestione associata di uffici, laboratori o studi professionale, mentre le attività di tipo strettamente riservate ad un professionista iscritto ad un albo sono nella competenza del singolo professionista associato. Alle società tra professionisti possono far parte anche collaboratori non professionisti, purché il controllo della società rimanga ai soci professionisti.
  • Società di fatto: per la costituzione di società di persone non è necessario l’atto scritto. In mancanza di questo, si parla di società di fatto, che viene regolata dalle norme della società semplice se non commerciale, o, se commerciale, come una società in nome collettivo irregolare.[2]
  • Società occulta: è una società costituita da soci che non vogliono rivelarne l’esistenza all’esterno. Solitamente tramite una società occulta i soci tendono a conseguire benefici segretamente, pertanto al di fuori di ogni regola o controllo.[2]
  • Talvolta si parla di società apparente: è bene precisare che, in questo caso, non si tratta di una organizzazione societaria, ma ci si riferisce alla situazione nella quale il comportamento di taluni soggetti, che non possono essere giuridicamente definiti soci, ingenera nei terzi, che entrano in contatto con questi, l’affidamento nell’esistenza di una società, in realtà inesistente.
  • Società europea: nasce nel 2001 per permettere il superamento del diritto societario dei diversi stati membri dell’Unione europea e di rendere direttamente applicabili e omogenee alcune norme alle società che adotteranno lo statuto di SE (società europea). Per tali società la partecipazione è espressa da titoli azionari con un capitale sociale di almeno 120.000 euro. La costituzione è possibile per fusione di due società di stati diversi o attraverso la creazione di holding comune, o ancora attraverso una trasformazione di una società di capitali o se una società possiede una filiale all’estero per almeno due anni assoggettata alle regole del paese locale. Allo statuto della SE possono approdare sia le società per azioni che le srl.

La società per azioni (sigla italiana S.p.A.inglese Ltd. e Inc.spagnola e portogheseSAtedesca AG e olandese N.V.) è una società di capitali (cioè una forma giuridica assunta da un’impresa) dotata di personalità giuridica e una autonomia patrimoniale perfetta, nella quale le partecipazioni dei soci sono rappresentate da titoli trasferibili, le cosiddette azioni suddivise in più tipi, e nella quale la gestione è delegata a un organo di gestione come ad esempio un consiglio di amministrazione (CDA).

Le società per azioni sono normate dal diritto commerciale (facente parte del diritto privato) e la sua branca che si occupa nello specifico delle società per azioni (e non di società di capitali di altro tipo) è il diritto societario; in inglese è detto “corporate law” o “company law”. La corporate law norma (anche) questa forma giuridica che ha l’obiettivo di rendere efficienti le transazioni economiche con un abbattimento dei costi di coordinazione tra i membri (viene fornita dal diritto una organizzazione di default) e una mitigazione dei rischi (da come si nota dalle loro cinque caratteristiche base e dalle soluzioni escogitate per risolvere il problema principal-agent/il problema di agency, tale per cui un membro della società per azioni può agire in modo opportunistico verso altri membri societari o terze parti come le banche o ostacolare il business)[1].

Le società per azioni, che possono essere sia private sia partecipate a maggioranza dallo Stato, esistono tipicamente per svolgere attività di business e investimenti. Lo studio e trattazione delle società per azioni si intreccia con il mondo della finanza, per esempio quando si parla di borsa (stock exchange) e di come funzionano le azioni (shares) e le obbligazioni (bonds), e con etica del business quando si parla della responsabilità sociale d’impresa (corporate social responsibility CSR).

Esistono due modi per definire una società per azioni: tramite una definizione univoca o tramite alcune caratteristiche universali reperite attraverso il diritto commercialecomparato. Riguardo alla prima, la definizione di cosa sia una qualunque società come forma giuridica (inclusa quella per azioni, in inglese britannico “company” e in inglese statunitense “corporation”) è abbastanza problematica. Una definizione diffusa è quella di società come “bundle/nexus of contracts”, cioè una rete di contratti sia espliciti (e.g. tra soci fondatori, con creditori come le banche e i fornitori, con gli investitori, con i lavoratoriassunti, ecc.) sia impliciti (e.g. l’impegno di ottemperare a tutti gli obblighi imposti dallo Stato in materia di fisco e rispetto di standard). Pertanto, la sua esistenza si basa su/declina attraverso dei contratti e coloro che hanno rapporti e interessi con essa (stakeholders) hanno rapporti di natura contrattuale; in altre parole, la società è la controparte contrattuale.

In tutto il mondo, il modo di organizzare un business detto “società (di capitali) per azioni” ha cinque[1] caratteristiche sempre presenti e tali per cui questa forma giuridica e prevista per legge in tutto il mondo è riconoscibile (per necessità, si introducono anche alcuni concetti base di finanza, come il funzionamento delle azioni e delle borse):

  • la personalità giuridica (separate legal personality): un ente che ha personalità giuridica può essere titolare/proprietaria di beni/cespiti (asset), presentarsi come controparte quando si stringe uno o più contratti (fino a formare una rete di contratti che stanno alla base di tutte le sue attività di business) e addirittura indebitarsi con fornitori, banche e obbligazionisti, accumulando dunque liabilities. Nel caso limite, può essere denunciata o denunciare qualcuno e viene identificata con un nome proprio, e.g. “Apple“. Pertanto, si attribuiscono a essa delle caratteristiche umane nonostante sia un’entità astratta. Siccome essa ha il suo patrimonio, ovvero ha un suo capitale sociale (che include non solo i soldi in un conto corrente bancario, ma anche beni tangibili e intangibili di proprietà come brevetti e capannoni), ciò implica che il suo patrimonio non coincide con quello di ogni suo possibile stakeholder: se la società per azioni si indebita e la banca esige i soldi del prestito con gli interessi, essa potrà esigerli dalla società con cui ha firmato il contratto di mutuo e non dai suoi manager, dal suo fondatore, dai lavoratori, dagli azionisti e dagli obbligazionisti. In poche parole, è dotata di autonomia patrimoniale (separate patrimony), in questo caso “autonomia patrimoniale perfetta” (vedi avanti). Siccome i creditori della società non possono aggredire gli asset degli stakeholder ma solo quelli della società, si dice che tra la società e gli stakeholder si frappone un velo societario (social veil/corporate veil o entity shielding). Di converso, i creditori degli stakeholder non possono aggredire gli asset della società ma solo quelli degli stakeholder: per esempio, se un azionista ha un mutuo in banca ed è insolvente, la banca non può aggredire i beni della società in cui ha investito. Questa peculiarità in particolare viene detta “protezione da liquidazione” (liquidation protection), che si declina anche nella misura in cui gli azionisti non possono ritirare le loro azioni a piacere (altrimenti la società fallirebbe in qualunque momento), diversamente dalle partnership/partenariati. Pertanto, le partnership hanno un’autonomia patrimoniale imperfetta, mentre le società per azioni sono dotate di autonomia patrimoniale perfetta. Nonostante la società di capitali sia una persona giuridica, siccome è un’entità ha bisogno di avere un rappresentante che ha l’autorità, per esempio, di firmare i contratti di compravendita e di mutuo in cui la società è una delle parti contraenti. Per esempio, esso può essere uno dei manager (o “dirigenti” o “gestori” o “amministratori”).
  • la responsabilità limitata (limited liability): come già accennato, la società di capitali nel momento in cui si indebita o è soggetta a liquidazione dopo una dichiarazione di bancarotta, cioè di insolvenza nei confronti dei creditori, essa risponde ai suoi debiti tramite solo e unicamente gli asset che possiede e non tramite gli asset dei singoli stakeholder, pure se gli asset rimasti della società sono insufficienti per ripagare tutti i debiti o tutti i creditori e anche nel caso in cui, al momento della liquidazione, abbia asset pari a zero. Pertanto, i suoi stakeholder hanno responsabilità limitata e una sorta di scudo detto “owner shielding”, mentre gli asset della società e gli asset dei singoli stakeholder sono ben suddivisi (corporate-type asset partitioning). Il suo contrario si dice “responsabilità illimitata”. Alcuni problemi di opportunismo (anche solo potenziale) derivano sia dalla personalità giuridica sia dalla responsabilità limitata (a cui si collegano l’autonomia patrimoniale e il velo sociale, grazie al quali gli stakeholder hanno responsabilità limitata): per esempio, una società potrebbe commettere dei crimini e, se condannata, i manager criminali potrebbero non essere toccati personalmente da risarcimenti. Per risolvere questo problema, alcuni casi eccezionali permettono di mutare la responsabilità in capo agli stakeholder limitata in illimitata tramite la perforazione del velo sociale (pierce the social veil). Quanto all’asset partitioning, la partizione può ulteriormente approfondirsi se la società li suddivide nel momento in cui crea una società figlia e controllata (la società controllante o madre viene chiamata “società holding”, mentre la figlia o controllata si dice “società sussidiaria/subsidiary corporation”) e le assegna degli asset. Se la società holding si indebita e mette come garanzia/security i suoi asset, i creditori non possono rifarsi sugli asset della società figlia per soddisfare il credito; pertanto, la partizione degli asset si può unire a una partizione/allocazione oculata del rischio in capo a una società piuttosto che a un’altra (risk allocation).
  • il capitale sociale suddiviso in azioni liberamente trasferibili tramite compravendita: un’azione (share) è un prodotto finanziario (incarnato da un pezzettino di carta oggi virtuale e dematerializzato, siccome si comprano e vendono online e a distanza) che permette di fornire denaro alla società tramite il suo acquisto e il suo possesso. Per esempio, se si compra un’azione di 1000$, si sta finanziando la società scelta di 1000$, tale per cui il suo capitale sociale aumenta (quest’ultimo si usa come garanzia verso i creditori o come risorsa per pagare i fornitori e i lavoratori o, in primis, come capitale di rischio per intraprendere dei progetti di business, come la vendita in un Paese arabo di carne halal a buon prezzo, fermo restando che alcune società non sono a scopo di lucro ma sono non-profitperché si occupano di diritti umani e lotta alla povertà e alle malattie). Il senso ultimo di comprare azioni è quello di partecipare ai ricavi dei progetti di business che vanno a buon fine (a volte si assiste a un fallimento di mercato, cioè a un flop). Pertanto, a una certa cadenza, l’azionista riceve del denaro proveniente dai ricavi nella misura in cui ha investito, cioè il dividendo (se quei 1000$ corrispondono al 12% del capitale sociale totale, il possessore dell’azione riceve sul suo conto corrente il 12% dei guadagni come dividendo). Tutti i soci azionisti hanno il diritto a ricevere dividendi: vige cioè il divieto di patto leonino. L’obbligazione invece è una sorta di prestito concesso alla società che, a differenza dell’azione, deve rimborsare tutto il denaro dell’obbligazione compreso di interessi (che sono il margine di profitto dell’obbligazionista: non riceve dividendi ma interessi ed è più tutelato). Queste azioni si possono scambiare tramite vendita e acquisto in privato o, nel caso in cui la società per azioni sia quotata/iscritta in un’istituzione/mercato finanziario che esiste apposta per la compravendita di tali prodotti finanziari, in una borsa valori/stok exchange come il NYSE (New York Stock Exchange), il NASDAQ, la Borsa di Milano, di Londra, di Tokyo e di Shanghai, per esempio. Le società si possono quotare (e diventare società quotate, “listed/publicly traded corporations”) se rispettano tutti i requisiti base (e.g. avere un certo capitale sociale minimo, riuscire a sostenere le spese di quotazione, rilasciare un bilancio trimestrale/quarterly financial report o farsi controllare le scritture contabili da un’agenzia di audit per evitare truffe contabili) e, al lancio, le azioni hanno un prezzo detto IPO (initial pubblic offering) che può anche essere sovrastimato o sottostimato. Altrimenti, la società di dice “società non quotata” (unlisted corporation). In base alle regole della singola società, le azioni non si possono restituire alla società in un qualunque momento, altrimenti andrebbe in qualunque momento in liquidazione (liquidation protection), ma sono liberamente vendibili a un certo prezzo a nuovi azionisti per esempio nella borsa: possono circolare e trasferirsi liberamente. Le azioni si possono vendere perché, per esempio, la società è in perdita o perché il suo valore aumenta siccome la società è profittevole o crea una buona impressione negli investitori. Questi presupposti sono anche alla base della speculazione borsistica in contesto di compravendita in borsa, detto “trading“, che oggi avviene il più delle volte a distanza tramite piattaforme online apposite (trading online). Nonostante i possessori delle azioni (e dunque i detentori della società e dei suoi profitti) cambino anche in continuazione, la società può continuare il suo business/operato senza interruzioni. Se un azionista detiene dal 51% in su del capitale sociale, si dice che è un azionista di maggioranza (majority shareholder), altrimenti è un azionista di minoranza (minority shareholder), comunque questi ultimi godono di alcune tutele. Un’altra società può comprare azioni di una società e, se compra il 100% delle azioni, si dice che ha acquisito la società. Una società si dice che ha un azionariato ristretto se il capitale sociale è in mano a un piccolo gruppo di persone (se la società è unipersonale, è in mano a una sola persona, il “sole owner”) o frammentato/polverizzato (se numerosissimi azionisti possiedono piccole parti di capitale. Si pensi ad esempio alle grandi multinazionali in cui investono molti piccoli investitori e alcuni grandi investitori come banche e miliardari). Pertanto, c’è una differenza tra “widely helf corporations” e “closely held corporations”. Se poi una società ha restrizioni alla trasferibilità delle azioni, si può indicare come “società chiusa/privata” (closed/private corporation), mentre quella senza troppe particolari restrizioni si può indicare come “società aperta/pubblica” (open/public corporation).
  • la gestione delegata a un consiglio di amministrazione centralizzato (board of directors): specialmente nel caso in cui l’azionariato sia frammentato/polverizzato, per rendere il processo di assunzione di decisioni di business, investimento e gestione aziendale (decision making, business planning, management a ogni livello) più fluido e per darlo in capo a persone competenti e che hanno un interesse a gestire direttamente la società, gran parte dei processi decisionali vengono affidati a dei top manager/senior manager che si riuniscono in un organo di gestione detto “consiglio di amministrazione” (CDA). Ciò non avviene nelle micro-imprese e piccole e medie imprese (PMI, in inglese SMEs), che per esempio possono essere a trazione familiare o di un piccolo gruppo di persone che possono conoscersi bene personalmente. Quindi, la gestione delegata, ovvero una gestione non più in capo ai pochi soci presenti, è necessaria in particolare nelle società con un gran numero di soci che cambiano spesso in base alla compravendita di azioni (open corporations con azionariato polverizzato). In una soluzione di compromesso, la gestione e rappresentanza dei soci sono delegate a un singolo manager, cioè il singolo direttore generale, ma ciò è possibile se l’azionariato non è diffuso. I top manager del CDA si distinguono dai manager che si occupano di eseguire/mettere in pratica le decisioni del livello più alto, ovvero i manager operativi (operational managers). All’interno del CDA si possono trovare il Presidente del CDA con un Vice-Presidente, il CEO (chief executive officer/amministratore delegato) e il CFO (chief financial officer/direttore finanziario) ma i ruoli possono sovrapporsi. I manager hanno chiaramente un potere decisionale, ma gli statuti impostano come si relaziona il loro potere rispetto ai soci e viceversa e dunque come si suddivide il potere. Per esempio, alcune proposte del management possono essere messe ai voti. In alcuni casi eccezionali, alcune decisioni estremamente importanti non sono prese dal management ma dai soci, per esempio delle modifiche nello statuto, la modifica dell’oggetto sociale (cioè l’obiettivo/missione generale della società, paragonabile al mission statement) o del nome della società e tipologia (la denominazione sociale), la decisione di quotarsi in borsa o di fare delisting (ovvero abbandonare la borsa), ecc. La presenza della gestione delegata porta all’ideazione di svariate strategie per evitare l’opportunismo del management, che comunque non è l’unico soggetto potenzialmente opportunista in una società, e sorvegliarne l’operato mediante un eventuale organo di controllo e supervisione. Per fare un esempio di opportunismo, uno dei manager potrebbe usare i soldi del capitale sociale per comprarsi un’auto di lusso. A questo si aggiunge il bisogno di tarare la lunghezza della carica di ogni manager e il processo di eventuale rielezione, ovvero di rinnovamento della carica, o di elezione dei nuovi manager e di allontanamento/sfiducia. I soci partecipanti, sostanzialmente, finanziano le operazioni dei manager mettendo a disposizione un capitale sociale (che è capitale di rischio) e ne sopportano le perdite o, in alternativa, ne beneficiano del successo sottoforma di dividendi. Il management stesso beneficia del proprio operato se buono e di successo in termini di carisma e di dividendi (anche i manager talvolta possono essere soci).
  • il possesso in capo ai soci: nella misura in cui i soci/azionisti versano liquidità nella società comprando azioni, i soci hanno il possesso (ownership) della società. Pertanto, hanno diritto non solo a ricevere dividendi nella misura della loro partecipazione, ma hanno anche il diritto di voto nelle situazioni in cui devono esprimere il consenso o meno a una proposta di business o investimento o a una nomina e revoca di cariche di amministratori o nel momento in cui devono approvare un bilancio e fare modifiche allo statuto (charter), che è la carta fondamentale in cui sono scritte le regole su cui si basa la singola società. Nel caso base, il valore del proprio voto è pari/proporzionato alla propria percentuale di partecipazione: per esempio, se un azionista in un determinato momento di tempo detiene il 12% del capitale sociale in base alle azioni comprate (cioè ha versato un “input” di denaro pari al 12% del totale), il suo singolo voto vale il 12%. Se è l’azionista di maggioranza, che detiene almeno il 51%, basta il suo voto per decretare la scelta finale. Questo principio plutocratico è diverso dal “one share, one vote” (un’azione, un voto) in cui si va per maggioranza in base al numero di azioni detenute e non per partecipazione (ma il principio one share, one votesporadicamente si può trovare applicato; in parecchi casi viene scartato perché è preimpostato di default in tutti gli ordinamenti). I soci, laddove si riuniscono fisicamente, si riuniscono in un organo collegiale deliberativo detto “assemblea dei soci“, diverso dall’organo di gestione (ovvero il CDA). Quello di manager (sia senior manager sia manager di livello inferiore) e di azionista sono ruoli che comunque possono sovrapporsi perché anche i manager possono acquistare e vendere azioni e partecipare ai profitti del loro stesso operato sottoforma di dividendo (che dunque si integra allo stipendio). Anche i lavoratori possono partecipare all’azienda per lo stesso motivo e, nei casi estremi, i manager o i lavoratori possono salvare l’azienda che ha dichiarato fallimento dalla liquidazione investendoci tramite l’acquisto di azioni (management buyout ed employee buyout); attenzione: la dichiarazione di fallimento non è sempre seguita da una liquidazione, siccome si evita con un’acquisizione da parte di un’altra società, con un management buyout, con un employee buyout o rinegoziando i crediti con i creditori in modo tale da ottenere, per esempio, una dilazione o cancellazione parziale o una qualche altra agevolazione (anzi, se la società si liquida e non possiede abbastanza asset da pignorare e/o rivendere all’asta per recuperare denaro, il credito si perde irrimediabilmente). Siccome la società è posseduta dai soci nella misura in cui detengono il capitale, ciò si abbatte non solo sulla distribuzione dei dividenti e del diritto di voto, ma anche alla distribuzione degli asset rimanenti durante la liquidazione (per esempio, se un azionista detiene il 12% del capitale sociale, in fase di liquidazione ha diritto al 12% di ciò che resta una volta che le banche, che sono creditori con il diritto di precedenza/diritto di prelazione a prescindere, vengono ripagate. Se non resta nulla, gli azionisti non hanno diritto a nulla. Nell’ordine, vengono rimborsati le banche, gli obbligazionisti, gli azionisti che detengono azioni speciali, gli azionisti comuni e tutti gli altri creditori. I creditori secondari, cioè senza diritto di precedenza, si dicono “chirografari”, mentre il relativo credito si chiama “credito chirografario“).
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